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giovedì 28 marzo 2024

The Division Bell ~ Recensione per il 30° anniversario dell'album

“Molti pensano che stiamo solo ripercorrendo la vecchia strada.” — David Gilmour, in merito a The Division Bell


○ Esattamente tre decenni fa — il 28 marzo 1994 — vide la luce il quattordicesimo album in studio dei Pink Floyd, The Division Bell.
Come disse David Gilmour in un'intervista, quella che caratterizza The Division Bell è una genuinità sonora che non si vedeva — o meglio, che non si sentiva — dai tempi di Wish You Were Here, il capolavoro storico dei Pink Floyd uscito nel lontano 1975, quasi vent'anni prima. A tal proposito, il chitarrista dei Pink Floyd disse quanto segue: «In questo album Nick e Rick hanno suonato tutto quello che dovevano suonare; per questo motivo per me è il disco più genuino dei Floyd dai tempi di Wish You Were Here».
L'incomunicabilità tra gli individui è il tema portante del disco (quasi come una sorta di concept album), sebbene al suo interno ci siano degli episodi solitari ed introspettivi di Gilmour che esulano dal tema principale.
Il titolo dell'albo non fu un'idea dei membri dei Pink Floyd, i quali a gennaio del 1994 erano ancora indecisi su quale titolo dare al loro nuovo disco (due dei titoli provvisori che vennero presi in considerazione ai tempi furono Pow Wow” Down to Earth), bensì dello scrittore Douglas Adams, il quale si offrì di trovare un nome per l'album in cambio di un'offerta di 5.000 sterline da devolvere alla sua associazione benefica preferita, la Environmental Investigation Agency. Questo titolo — tratto dal testo della canzone High Hopes, contenuta nell'albo — si riferisce alla division bell del parlamento britannico, cioè alla campana che viene suonata all'inizio di una votazione — chiamata division.

○ Per comunicare meglio il concetto alla base dell'opera (proprio la mancanza di comunicazione, tema che è alla base di gran parte dei brani presenti nel disco), i testi dell'album vennero scritti servendosi di scrittori esterni, come Nick Laird-Clowes. L'attuale moglie di David Gilmour, Polly Samson, la quale ai tempi aveva una relazione con lui, inoltre, aiutò il chitarrista dei Pink Floyd a scrivere vari testi delle canzoni di The Division Bell. Samson fornì alcuni spunti a Gilmour per le liriche dei brani.

○ Parlando della musica dell'albo, il trio floydiano — Gilmour, Mason e Wright, quest'ultimo di nuovo come membro della band a tutti gli effetti e non più come turnista, a differenza di quanto visto in precedenza con A Momentary Lapse of Reason, pubblicato nel 1987 — consegna all'ascoltatore un lavoro maestoso, ben pensato nel complesso e a tratti intimo e riflessivo, con alle spalle più di un anno e mezzo di lavoro e circa un anno di sessioni di registrazione che ebbero luogo in vari studi, tra cui i Britannia Row Studios e quello galleggiante di David Gilmour, chiamato Astoria. Le registrazioni iniziarono nel gennaio del 1993 e durarono fino a dicembre dello stesso anno. Al gruppo si affiancarono Guy Pratt, ottimo bassista molto richiesto in studio (il quale dal 2018 collabora con Nick Mason nel ruolo di bassista nella sua band chiamata Nick Mason's Saucerful of Secrets), Jon Carin alle tastiere, Bob Ezrin e di nuovo Dick Parry, il quale suonò il sassofono nei celebri album dei Pink Floyd The Dark Side of the Moon e Wish You Were Here. David Gilmour, inoltre, suonò il basso in quattro delle canzoni presenti nel disco.
Inizialmente, dopo varie improvvisazioni e jam, la band aveva a disposizione circa sessantacinque brani musicali in tutto. In seguito, con l'aiuto dell'ingegnere del suono Andy Jackson e del co-produttore Bob Ezrin, la produzione dell'album si spostò nello studio galleggiante Astoria.
Va detto che originariamente l'idea per The Division Bell fu quella di un doppio album, proprio come avvenne con Ummagumma (1969): un primo disco di inediti in studio e un secondo contenente musica Ambient, come venne confermato da Nick Mason in un'intervista nel 2014. Il disco Ambient scartato divenne in seguito The Endless River (2014).
Avvenne poi che la band votò su ogni traccia dei sessantacinque pezzi totali e ridusse tutto il materiale a circa ventisette brani; eliminando poi alcune tracce e unendone delle altre, si arrivò infine agli undici brani che poi furono quelli della tracklist originale e definitiva di The Division Bell, che fu un unico album di inediti.

“L'album sembra molto più fatto in casa, proprio come se una band suonasse insieme nello stesso spazio. Penso che Rick in particolare questa volta si sia sentito significativamente più integrato nel processo, rispetto a Momentary Lapse. È stato bello riaverlo indietro.” — Nick Mason, 2005


I BRANI:

1. CLUSTER ONE (Gilmour; Wright)

Dopo circa un minuto e sette secondi caratterizzati da un rumore — che nel dettaglio ricorda molto quello del movimento della crosta terrestre; in realtà è quello del rumore elettromagnetico proveniente dal vento solare, secondo quanto dichiarato dall'ingegnere del suono Andy Jackson, il quale lavorò all'albo — che fa da overture, arriva l'opener dell'album, il capolavoro — il primo dei quattro presenti nell'albo — strumentale intitolato Cluster One, probabilmente la miglior conversazione tra un pianoforte e una chitarra elettrica. Richard Wright e David Gilmour sono i due compositori del brano, rispettivamente al pianoforte e alla chitarra elettrica. Questo pezzo così intimo e caratterizzato da una dolcezza unica trasporta l'ascoltatore in un'altra dimensione, con un Wright e un Gilmour a regola d'arte.
Ora, in merito ai due compositori del brano, Cluster One può essere interpretato come un ritorno al passato per due ragioni: la prima è per via del brano strumentale dei Pink Floyd intitolato Mudmen (la gemma strumentale di Obscured by Clouds, il loro album in studio uscito nel 1972), dove gli autori erano proprio Gilmour e Wright, i quali duettavano esattamente come in Cluster One; la seconda è dovuta a un ritorno alle atmosfere floydiane che aprivano Wish You Were Here.
Il titolo del brano si riferisce al termine che in astronomia indica un ammasso stellare, chiamato cluster.
In definitiva, Cluster One è un viaggio musicale tra le stelle che si sublima in un duetto intimo e delicato, dove il celebre duo floydiano — Gilmour & Wright — apre in maniera magistrale l'albo.

○ Link ufficiale al brano:

○ È da evidenziare la versione embrionale del pezzo (registrata come demo nel 1993), la quale risulta essere ancora più emozionale della versione definitiva in studio, soprattutto nel finale: https://www.youtube.com/watch?v=WeuQr40Zhfc

2. WHAT DO YOU WANT FROM ME (Gilmour; Wright)

Con la seconda traccia del disco — What Do You Want from Me — si assiste al grande ritorno del vecchio, solido ed aggressivo Gilmour (per la precisione sulle orme di Raise My Rent, brano strumentale tratto dal suo primo album solista del 1978 e, in parte, anche di Young Lust, pezzo del capolavoro floydiano The Wall), con quella sua veemenza e maestria alla chitarra elettrica, in piena forma con la sua Fender Stratocaster.
Dopo le note d'apertura di Wright al Wurlitzer piano e la batteria energica di Nick Mason, Dave irrompe di colpo facendo impallidire l'ascoltatore: buca il cielo e dà — per l'ennesima volta — prova del suo grande talento chitarristico, unico ed inimitabile.
La pomposità dal sapore squisitamente Progressive Rock — che in parte strizza l'occhio al Blues — che trasuda da What Do You Want From Me è notevole, con le parti di chitarra elettrica che fanno da eco alla voce di Gilmour ed enfatizzano il suo messaggio, forte e chiaro. Questo messaggio — che rappresenta il fulcro del testo del brano — è rivolto ai fan e a chi criticò Gilmour, definendolo finito e non più capace di suonare come un tempo. “Do you want my blood... Do you want my tears... What do you want?”: è come se la chitarra di Gilmour facesse da eco a queste parole durante il brano. Dopotutto, alla base della canzone vi è una riflessione in stile floydiano in merito alle aspettative che le persone hanno nei confronti degli altri — i fan nei confronti della band e di Gilmour in primis.
Verso il minuto 2:55 il pezzo raggiunge il climax.

“You can lose yourself this night...
See inside, there is nothing to hide...
Turn and face the light...”

(“Puoi perderti in questa notte...
Guarda dentro: non c'è niente da nascondere...
Voltati e affronta la luce...”)

E, infine, la domanda — “What do you want from me?” / “Cosa vuoi da me?”, il titolo della canzone stessa — che Gilmour rivolge a chi lo ascolta e che dubitava delle sue capacità chitarristiche conclude questo pezzo degno di nota.

○ Link ufficiale al brano:

3. POLES APART (Gilmour; Samson; Laird-Clowes)


“I never thought that you’d lose that light in your eyes...”

Ed ecco che alla terza traccia si giunge al capolavoro massimo dell'album e a uno dei momenti più alti dell'intera discografia dei Pink Floyd, con l'eccellente ballata Poles Apart, canzone in puro stile floydiano. Questo è un pezzo che non avrebbe sfigurato minimamente nemmeno nell'eccelso The Dark Side of the Moon (1973).
Il brano è forse quello più intimo — ed anche quello più autobiografico — dell'album, poiché è rivolto sia a Syd Barrett che a Roger Waters, diviso in due parti: la prima parla di Barrett, mentre la seconda parla di Waters.
In merito al brano — in particolare alla sua accordatura in RE, LA, RE, SOL, LA, RE / D A D G A D, la cosiddetta accordatura celtica — nel 1994 David Gilmour disse:

«La cosa divertente è che non sapevo fosse un'accordatura così consolidata. Pensavo che fosse un qualcosa di nuovo che avevo inventato. Un giorno ero in vacanza in Grecia e avevo con me una chitarra acustica. Ho semplicemente deciso di accordare la corda inferiore fino al Re e ho continuato a sperimentare finché non sono arrivato a quell'accordatura. In seguito ho giocato un po' e qualche minuto dopo è uscita Poles Apart».

Il pezzo si apre proprio con questo arpeggio di chitarra di Gilmour, il quale suona anche il basso in modo pregevole, con Wright che lo accompagna magistralmente con l'organo.
La prima parte del testo è rivolta a Syd Barrett e al suo declino:

“Did you know...
It was all going to go, so wrong for you?
And did you see...
It was all going to be so right for me?
Why did we tell you then...
You were always the golden boy then?
And that you'd never lose that light in your eye...”

(“Lo sapevi che...
tutto sarebbe andato così male per te?
E vedevi che...
tutto sarebbe andato così bene per me?
Allora perché ti abbiamo detto che...
eri sempre stato il ragazzo d'oro e...
che non avresti mai perso quella luce nei tuoi occhi?”)

La seconda parte del testo si riferisce chiaramente a Waters e alla sua dipartita:

“Hey, you...
Did you ever realize what you’d become?
And did you see...
That it wasn’t only me you were running from?
Did you know all the time...
But it never bothered you anyway?
Leading the blind...
While I stared out the steel in your eyes...”

(“Ehi, tu...
Ti sei mai reso conto di cosa saresti diventato?
E lo vedevi che...
non ero solo io quello da cui scappavi?
Lo sapevi che per tutto il tempo...
non ti disturbava affatto?
Conducendo il cieco...
mentre fissavo l’acciaio nei tuoi occhi...”)

Dopo questa parte la canzone sfocia in una sorta di carosello evocativo che torna indietro nel tempo: si possono udire i rumori provenienti da The Final Cut — precisamente il rumore di un cancello che sbatte all'inizio del brano Your Possible Pasts e il grido di una bambina che assomiglia a quello che si può udire in Two Suns in the Sunset, l'ultimo brano dell'albo in questione — e quello che caratterizzava la conclusione del pezzo Speak to Me, il ponte tra il brano in questione e l'inizio di Breathe — contenuti entrambi nel capolavoro The Dark Side of the Moon.
Va sottolineato il fatto che in Poles Apart si assiste alla completa rinascita musicale di Wright, il quale accompagna in maniera superlativa Gilmour con il suo organo Hammond, in un ritorno alle vecchie e sublimi atmosfere classiche dei Pink Floyd.
La parte finale del testo è come una sorta di liberazione, benché porti con sé anche dolore e rammarico, riflettendo in merito alla rapidità con cui la vita muta continuamente e al dolore che ciò può provocare.

“The rain fell slow...
Down on all the roofs of uncertainty...
I thought of you...
And the years and all the sadness... fell away from me...
And did you know?
(Did you know)
I never thought that you’d lose that light in your eyes...”

(“La pioggia cadeva lentamente...
scendendo su tutti i tetti dell’incertezza...
Pensavo a te e...
gli anni e tutta la tristezza... mi sono caduti via...
E lo sapevi?
(Lo sapevi?)
Non avrei mai pensato che avresti perso quella luce nei tuoi occhi...”)

Questa liberazione si sublima con l'assolo che conclude il pezzo, il climax dell'album e uno dei punti massimi della carriera musicale di Gilmour, il quale suona davvero con il cuore (come solo lui sa fare), emoziona e commuove allo stesso livello di quanto fece con quello di Comfortably Numb, l'indimenticato capolavoro dei Pink Floyd proveniente da The Wall (1979).
Poche canzoni riescono a colpire davvero nel profondo l'ascoltatore e a trasmettergli un messaggio sia attraverso la propria musica che il proprio testo, soprattutto riassumendo il significato del brano in una singola frase; la magnifica e commovente Poles Apart è una di queste e lo fa con la seguente frase: “I never thought that you'd lose that light in your eyes... (Non avrei mai pensato che avresti perso quella luce nei tuoi occhi...”).
Il tema del brano è il seguente: l'inevitabile scorrere del tempo, evento che porta via chi ci è caro, che interrompe delle amicizie a noi care, oppure che trasporta via con il vento i felici e lontani momenti, resi ormai dei ricordi sbiaditi e di cui restano soltanto degli echi nella nostra mente. Così fu per David Gilmour, il quale dedicò il testo di questo brano a Syd Barrett e a Rogers Waters.

○ Link ufficiale al brano:

○ Di valore e da menzionare è la versione embrionale di Poles Apart intitolata Surfacing, uno dei migliori brani di The Endless River (2014):
Questa versione embrionale e strumentale venne rielaborata ed impreziosita da Gilmour. L'inizio del pezzo strumentale in questione è contraddistinto proprio da quell'arpeggio di chitarra che apre Poles Apart.

4. MAROONED (Wright; Gilmour)

Il rumore dei gabbiani in una spiaggia solitaria e la tastiera di Wright aprono la quarta traccia, Marooned (il secondo capolavoro strumentale dell'albo, agli antipodi rispetto alla delicatezza di Cluster One), dove il virtuosismo chitarristico di David Gilmour si eleva e raggiunge l'apice, proprio come aveva fatto in precedenza, con l'assolo che concludeva magistralmente Poles Apart. In questo pezzo il chitarrista britannico diventa un tutt'uno con la sua Fender Stratocaster, dove si impone come protagonista assoluto del brano. Qui Gilmour fa parlare la sua chitarra, piange, esplora, naufraga e cattura l'ascoltatore in un viaggio introspettivo e alla deriva dalla durata di circa cinque minuti e mezzo. Richard Wright può solo accompagnarlo — con il pianoforte, il Kurzweil e l'organo — ed impreziosire questo suo episodio solitario e di pregevole fattura che si colloca tra i picchi massimi di The Division Bell.
Riguardo al titolo, “Marooned” significa “Abbandonato”; ed è proprio questa la sensazione che trasmette il pezzo, come un naufrago alla deriva su un'isola deserta — il rumore dei gabbiani all'inizio del brano.
L'autentica bellezza musicale di Marooned venne premiata nel 1995 con un Grammy Award per il miglior brano di Rock strumentale.

○ Video ufficiale del brano:

○ Di alto livello è questa versione live del pezzo che venne suonata da Gilmour nel 2004, in un concerto che celebrava il 50° anniversario della Fender (il concerto è intitolato The Strat Pack: Live in Concert e venne pubblicato nel 2005):

5. A GREAT DAY FOR FREEDOM (Gilmour)

“I dreamed you had left my side... No warmth, not even pride remained...”

Il quinto brano, dal titolo A Great Day for Freedom (inizialmente intitolato “In Shades of Grey”), si apre con la voce di Gilmour, accompagnata dal pianoforte di Wright. Il pezzo — questa volta una traccia impegnata socialmente — celebra la caduta del Muro di Berlino, avvenuta nel 1989, con in seguito l'instaurazione della libertà, il tema alla base della canzone.
Il testo di questa canzone parla della gioia delle persone che si liberano delle vecchie divisioni e che si rendono conto che la libertà è infine giunta; inoltre, esso riflette anche riguardo alla fragilità della libertà e su come non la si debba mai dare per scontata.
Dal punto di vista musicale, questa volta si assiste ad un cambio di sonorità e di genere musicale, poiché A Great Day for Freedom è un pezzo dal sapore prettamente New Age. Gli arrangiamenti orchestrali sono di Michael Kamen.
In merito alla traccia Gilmour disse questo:

«There was a wonderful moment of optimism when the Wall came down — the release of Eastern Europe from the non-democratic side of the socialist system. But what they have now doesn't seem to be much better. Again, I'm fairly pessimistic about it all. I sort of wish and live in hope, but I tend to think that history moves at a much slower pace than we think it does. I feel that real change takes a long, long time».

(«C’è stato un meraviglioso momento di ottimismo quando è caduto il Muro — la liberazione dell’Europa orientale dal lato non democratico del sistema socialista. Ma quello che le persone hanno adesso non sembra essere molto migliore. Ripeto: sono abbastanza pessimista in merito a tutto ciò. In un certo senso lo auguro e vivo nella speranza, tuttavia tendo a pensare che la storia si muova a un ritmo molto più lento di quanto pensiamo. Sento che il vero cambiamento richiede molto, molto tempo.»)

Il brano, infine, tramite l'assolo morbido e di alto livello di Gilmour, ricorda la bellezza della libertà, oltre a quanto essa sia preziosa e vada protetta.

○ Link ufficiale al brano:

6. WEARING THE INSIDE OUT (Wright; Moore)


Now we can hear ourselves again...

Giungendo alla sesta traccia dell'album, si assiste al secondo episodio personale — Wearing the Inside Out, dopo il primo di Marooned — che lo contraddistingue, questa volta però con Richard Wright alla voce (per la prima volta in un brano dei Pink Floyd dal lontano 1973), il compianto e celebre tastierista e pianista dei Floyd, i cui contributi alla musica della band sono stati fondamentali durante tutta la loro carriera, dall'inizio alla fine.
La traccia si apre con la chitarra di Gilmour e il sax di Dick Parry — il quale ritorna di nuovo in album dei Pink Floyd — che le fa da eco e sottolinea l'emozionalità della musica.
In un bagliore che appare fra le nubi frastagliate, Wright irrompe cantando, come una sorta reietto dimenticato che parla di sé stesso, riflette e ritorna di nuovo alla vita e alla civiltà:

“From morning to night...
I stayed out of sight...
Didn’t recognize I’d become...
No more than alive, I’d barely survive...
In a word… overrun...”

(“Dal mattino alla notte...
sono rimasto al di fuori della visuale...
Non riconoscevo ciò che sarei diventato...
Non più vivo, sono sopravvissuto a malapena...
In una parola… sopraffatto...”)

Wearing the Inside Out può essere considerato il canto del cigno di Richard Wright ed il suo ultimo inno floydiano; il suo spirito risiede nel pezzo.
La musica del brano è malinconica e dal suono più maturo ed introspettivo, caratteristiche che contraddistinsero il sound floydiano degli anni '90.
Di alto livello è il testo della canzone, specialmente la parte finale:

And with these words I can see...
Clear through the clouds that covered me...
Just give it time, then speak my name...
Now we can hear ourselves again...
I’m holding out...
(He’s standing on the threshold...)
For the day...
(Caught in fiery anger...)
When all the clouds...
(And hurled into the furnace he’ll...)
Have blown away... (…curse the place...)
I’m with you now...
(He’s torn in all directions...)
Can speak your name...
(And still the screen is flickering...)
Now we can hear...
(Waiting for the flames to break...)
Ourselves again...

(E con queste parole posso vedere...
Chiare attraverso le nuvole che mi coprono...
Dagli tempo, poi pronuncia il mio nome...
Adesso possiamo di nuovo sentirci l’un l’altro...
Lo sto porgendo...
(È in piedi sulla soglia...)
Per il giorno...
(Preso da una rabbia ardente...)
Quando tutte le nuvole...
(Lanciato nella fornace...)
sono spazzate via... (…Odia il posto...)
Adesso sono con te...
(Si lacera in tutte le direzioni...)
Posso pronunciare il tuo nome...
(E lo schermo continua a tremare...)
Adesso possiamo sentirci...
(Aspettando che le fiamme si rompano...)
di nuovo l’un l’altro...)

Le liriche parlano del ritorno alla vita da parte di un uomo dimenticato e rimasto al di fuori dalla civiltà, in cerca di calore umano.
Ad impreziosire questo eccellente brano è la chitarra di Gilmour, la quale si fonde alla perfezione in quell'alchimia unica con la voce e le tastiere di Wright.
La frase finale del testo è un richiamo al tema della comunicazione  Now we can hear... ourselves again....

○ Link ufficiale al brano:

○ Di pregevole fattura è la versione embrionale di Wearing the Inside Out, intitolata Evrika (dal nome dello yacht che Wright acquistò nel 1984), video tratto dalla Deluxe Edition di The Endless River:
Esistono varie versioni demo di questo brano, ed è uno di quelli su cui i tre componenti dei Pink Floyd — in particolare Gilmour  lavorarono di più durante le sessioni di registrazione di The Division Bell.

7. TAKE IT BACK (Gilmour; Ezrin; Samson; Laird-Clowes)


Arrivando alla settima traccia,
Take it Back, i toni cambiando radicalmente e si assiste ad una caduta in basso. Nel complesso, si tratta di un brano libero, armonioso e senza troppe pretese, a cui fanno da cornice i cori femminili nel ritornello. Questo brano, inoltre, potrebbe essere considerato quello più accessibile e commerciale che caratterizza l'albo.
Lo stile chitarristico del pezzo ricorda molto quello del chitarrista degli U2, The Edge.
Per il suono particolare del brano Gilmour utilizzò un E-bow su una chitarra acustica Gibson J-200.
Per quanto concerne le liriche, il brano si riferisce al rapporto dell'uomo con la natura, la quale può riprendersi il mondo — come afferma alla fine il brano.

“Now I have seen the warnings, screaming from all sides...
It's easy to ignore them, God knows I've tried...
All of this temptation, ya know it turned my faith to lies...
Until I couldn't see the danger or hear the rising tide...
She can take it back, she will take it back some day...
She can take it back, she will take it back some day...
She will take it back, she will take it back some day...”

(“Ora ho visto gli avvertimenti, urlati da tutte le parti...
È facile ignorarli; Dio sa se ci ho provato...
Tutta questa tentazione, sai, ha trasformato la mia fede in bugie...
Fino a quando non ho più potuto vedere il pericolo o sentire la marea che saliva...
Può riprenderselo, un giorno lo riprenderà...
Può riprenderselo, un giorno lo riprenderà...
Lo riprenderà, un giorno lo riprenderà...”)

La ripetizione del ritornello — She will take it back, she will take it back some day... — nell'ultima parte del pezzo sottolinea il fatto che le azioni hanno sempre delle conseguenze, come avviene proprio con il rapporto tra gli uomini e la natura — le conseguenze derivate dallo spingere qualcuno o qualcosa, appunto la natura, troppo lontano e la redenzione dai propri errori.

○ Video ufficiale del brano:

8. COMING BACK TO LIFE (Gilmour)

“For killing the past and coming back to life...

In Coming Back to Life Gilmour torna con un suo secondo episodio personale, dopo la strumentale Marooned, questa volta catarsico, cantando anche nel brano. Questo pezzo è uno dei più riusciti dell'albo, con un Gilmour ispirato, il quale riprende e rielabora una piccola parte del riff di chitarra del suo capolavoro strumentale intitolato Let's Get Metaphysical — tratto dal suo secondo album solista About Face, pubblicato nel 1984. Il celebre chitarrista qui risulta essere più introspettivo, parlando di come ci si può liberare del proprio passato e ricominciare daccapo, il tema portante alla base del brano.

“Lost in thought and lost in time...
While the seeds of life and the seeds of change were planted...
Outside, the rain fell dark and slow...
While I pondered on this dangerous but irresistible pastime...
I took a heavenly ride through our silence...
I knew the moment had arrived...
For killing the past and coming back to life...
I took a heavenly ride through our silence...
I knew the waiting had begun...
And headed straight into the shining sun...”

(“Perso nei pensieri e perso nel tempo...
Mentre i semi della vita e i semi del cambiamento venivano piantati...
Fuori la pioggia cadeva cupa e lenta...
Mentre riflettevo su questo passatempo pericoloso ma irresistibile...
Ho fatto un giro paradisiaco attraverso il nostro silenzio...
Sapevo che era arrivato il momento...
per uccidere il passato e tornare alla vita...
Ho fatto un giro paradisiaco attraverso il nostro silenzio...
Sapevo che l'attesa era iniziata...
E mi sono diretto dritto verso il sole splendente...”)

○ Link ufficiale al brano:

9. KEEP TALKING (Gilmour; Wright)

“All we need to do is make sure we keep talking.” — Stephen Hawking

Il nono brano dell'albo — Keep Talking — risulta essere quello più ambizioso ed innovativo dal punto di vista musicale, consegnando all'ascoltatore un pezzo dal sound più moderno rispetto alle composizioni floydiane del passato.
Dal punto di vista concettuale, questo brano è quello che più fra tutti sottolinea l'importanza di mantenere linee di comunicazione (tema affrontato dall'albo), mettendo così in evidenza gli effetti dannosi che la mancanza di dialogo può avere; inoltre, incoraggia l'ascoltatore che è attraverso la conversazione che si può raggiungere la comprensione reciproca. Nella traccia, oltre a ciò, si può ascoltare la voce del celebre fisico e cosmologo Stephen Hawking (specialmente la sua seguente frase, la quale è il fulcro del brano: «All we need to do is make sure we keep talking.»), il quale apre e chiude il pezzo.

“(Why won’t you talk to me?) I feel like I’m drowning...
(You never talk to me...) You know I can’t breathe now...
(What are you thinking?) We’re going nowhere...
(What are you feeling?) We’re going nowhere...
(Why won’t you talk to me?)
(You never talk to me...)
(What are you thinking?)
(Where do we go from here?)

It doesn’t have to be like this...
All we need to do is make sure we keep talking...”

(“(Perché non mi parli?) Mi sento come se stessi annegando…
(Non parli mai con me...) Sai che non riesco a respirare adesso...
(A cosa stai pensando?) Non andremo da nessuna parte...
(Cosa provi?) Non andremo da nessuna parte...
(Perché non mi parli?)
(Non parli mai con me...)
(Cosa stai pensando?)
(Dove andiamo da qui?)

Non deve essere così...
Tutto quello che dobbiamo fare è assicurarci di continuare a parlare...”)

Per quanto concerne l'aspetto musicale di Keep Talking, notevole è l'assolo di chitarra aggressivo e potente di Gilmour, il quale subentra di colpo — nel brano utilizza anche una talk box. Inoltre, uno dei momenti più alti di Wright nel disco è il suo assolo con il sintetizzatore presente nella canzone.

○ Link ufficiale al brano:

10. LOST FOR WORDS (Gilmour)

Giungendo alla decima traccia dell'albo, Lost for Words, il testo, seppur in modo — volutamente — vago e non diretto, può essere interpretato come una frecciata da parte di Gilmour a Roger Waters, specialmente nella seguente parte:

“Can you see your days blighted by darkness?
Is it true you beat your fists on the floor?
Stuck in a world of isolation...
While the ivy grows over the door...”

(“Riesci a vedere i tuoi giorni rovinati dall'oscurità?
È vero che batti i pugni sul pavimento?
Bloccato in un mondo di isolamento...
mentre l’edera cresce sopra la porta...”)

Dal punto di vista musicale, la traccia è una rielaborazione in chiave più moderna di Wish You Were Here, specialmente del riff di chitarra acustica contenuto in essa, rielaborato da Gilmour.
Lost for Words riprende il tema principale che caratterizza l'albo (la mancanza di comunicazione), specialmente nella parte finale delle liriche:

“So I open my door to my enemies...
And I ask could we wipe the slate clean...
But they tell me to please go f*ck myself...
You know you just can't win...”

(“Così apro la porta ai miei nemici...
e chiedo se potremmo ricominciare da capo...
Ma essi mi dicono, per favore, di andare a farmi f*ttere...
Lo sai che non puoi vincere...”)

Questo pezzo ricorda che si può aprire la porta e parlare ai propri nemici, con il tentativo — da parte nostra — di ripristinare un rapporto e, quindi, di comunicare di nuovo l'uno con l'altro.

○ Link ufficiale al brano:

11. HIGH HOPES (Gilmour)


“The grass was greener... The light was brighter...”

Infine, l'album arriva al suo epilogo, con un finale che non avrebbe potuto chiuderlo in maniera migliore: l'inno struggente e mastodontico intitolato High Hopes, l'outro titanico e degno di nota del viaggio musicale dei Floyd nel 1994.
Dopo i rintocchi di una campana e l'intro di pianoforte di alto livello che l'accompagna, Gilmour apre il brano con le seguenti liriche:

“Beyond the horizon of the place we lived when we were young...
In a world of magnets and miracles...
Our thoughts strayed constantly and without boundary...
The ringing of the division bell had begun...”

(“Oltre l’orizzonte del luogo in cui vivevamo quando eravamo giovani...
In un mondo di magneti e miracoli...
I nostri pensieri vagavano costantemente e senza confini...
Il suono della campana della divisione era iniziato...”)

High Hopes è un epico e riflessivo ritorno al passato da parte di Gilmour (precisamente ai giorni lontani di Cambridge, agli albori della band), il quale riflette ancora una volta sui trascorsi e sull'inevitabile scorrere del tempo, consegnando all'ascoltatore un inno floydiano imponente e ispirato, impossibile da dimenticare, specialmente nel ritornello:

“The grass was greener...
The light was brighter...
With friends surrounded...
The nights of wonder...”

(“L'erba era più verde...
La luce era più brillante...
Circondati dagli amici...
Le notti meravigliose...”)

I testi e la musica sono ispirati e di altissimo livello, con i Pink Floyd al loro massimo per il periodo in cui l'albo venne registrato.
Questo capolavoro si conclude con l'assolo sublime e ricco di pathos di Gilmour alla lap steel guitar, che fa da eco alla frase conclusiva “For ever and ever...”.

○ Video ufficiale del brano:

The endless river... For ever and ever...

LA COPERTINA


○ La cover dell'albo venne realizzata da Storm Thorgerson (dello studio fotografico Hipgnosis), uno dei migliori grafici di copertine della storia del Rock e collaboratore di lunga data dei Pink Floyd (nel 1973 realizzò la celebre copertina di The Dark Side of The Moon e quella di Houses of the Holy dei Led Zeppelin, due tra le cover più belle di tutti i tempi), il quale si occupò della grafica della copertina. Egli si ispirò alla copertina del libro intitolato The Human Use of Human Beings, scritto dal matematico statunitense Norbert Wiener e pubblicato nel 1950. L'idea fu quella di posizionare due teste metalliche in un campo agricolo vicino alla cattedrale di Ely. Queste due statue vennero posizionate in modo da fronteggiarsi accanto l'una verso l'altra e poi furono fotografate di profilo, formando così una terza faccia se viste frontalmente, grazie all''illusione subcosciente chiamata pareidolia. La cattedrale di Ely — situata nella regione di Est Anglia, in Inghilterra — è visibile sullo sfondo all'orizzonte tra le bocche delle due facce metalliche. Le sculture vennero in seguito conservate all'interno della Rock and Roll Hall of Fame a Cleveland, in Ohio.
L'immagine della cover è evocativa e a tratti maestosa (proprio come lo fu quella del precedente album in studio dei Pink Floyd, A Momentary Lapse of Reason, sempre realizzata da Thorgerson), sottolineando la caratura dell'opera musicale che rappresenta, oltre al tema che affronta, cioè la mancanza di comunicazione — la divisione tra le due facce poste una al fianco dell'altra.

VALUTAZIONE

○ The Division Bell è il degno — e vero — epitaffio di una delle più grandi band della storia e della loro gloriosa discografia: un capolavoro mastodontico contraddistinto da un sound affascinante che ritorna alle origini, nel complesso maturo, genuino e pomposo, oltre che da una produzione degna di nota, con Bob Ezrin. Nell'albo si assiste al ritorno della creatività musicale di Richard Wright, il quale fu fondamentale durante l'intera storia dei Pink Floyd, grazie al suo stile unico, elegante ed ineguagliabile.
Va evidenziato il fatto che il periodo in cui uscì The Division Bell era ben diverso e lontano dei vecchi fasti e dai tempi d'oro della musica (gli anni '70, dove si ebbe il picco massimo dei capolavori dei Pink Floyd), con gli anni '90. Cluster One, Poles Apart e High Hopes, tuttavia, sono tre brani che vanno ad arricchire quell'eterna ed unica essenza musicale dei Pink Floyd.
In definitiva, il quattordicesimo album in studio dei Floyd è una canzone che si sussegue tutta di fila, con le sue numerose sfaccettature: dall'apertura con il viaggio stellare e intimo di Cluster One fino all'inno titanico e struggente di High Hopes che lo conclude maestosamente. Questo capitolo floydiano unico e degno di nota conclude in maniera mastodontica l'epopea musicale della leggendaria band britannica.

 9/10 

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○ Titolo: The Division Bell
○ Artista musicale/gruppo: Pink Floyd
○ Data di pubblicazione: 28 marzo 1994
○ Genere/i musicale: Progressive Rock; New Age
○ Etichetta/e discografica: EMI Records; Columbia Records
○ Produttori: Bob Ezrin; David Gilmour

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● BONUS

○ Per concludere, ecco una raccolta delle demo provenienti dalle sessioni di registrazione dell'album (gran parte di esse vennero rielaborate, raffinate e sovraincise da David Gilmour e Nick Mason per l'ultimo album in studio dei Pink Floyd, The Endless River, pubblicato nel 2014): https://www.youtube.com/watch?v=TxzSEA0SRD4

Inizialmente tutto questo materiale — circa un'ora di musica Ambient — non utilizzato e scartato da The Division Bell fu intitolato “The Big Spliff” e non venne mai rilasciato. Dalle sue ceneri nacque proprio The Endless River, albo pubblicato vent'anni dopo The Division Bell, che fu un ultimo regalo ai fan e un omaggio a Richard Wright, piuttosto che un vero e proprio album come quello del 1994 — un po' come lo fu Coda dei Led Zeppelin, album di rarità pubblicato dopo lo scioglimento della band come regalo d'addio rivolto ai fan.
Alcune delle demo di The Big Spliff apparirono sul web intorno al 2014, pubblicate sotto forma di bootleg.

○ Ecco altre rarità provenienti dalle sessioni di The Division Bell pubblicate in seguito dalla band in maniera ufficiale:

1. Nervana (video ufficiale): https://www.youtube.com/watch?v=w-vW1-CNXXU




5. Marooned Original Demo (Cosmic 13)https://www.youtube.com/watch?v=nq-qT_jt0Xg

Queste tracce provengono da varie pubblicazioni ufficiali della band avvenute negli ultimi anni, tra le quali il ricco box set intitolato The Later Years (2019).